COS'E' L'AUTISMO
Il Disturbo dello Spettro Autistico viene considerato dalla comunità scientifica internazionale un disturbo del neurosviluppo che si manifesta precocemente con deficit relativi alla comunicazione (verbale e non) e all'interazione sociale, rigida adesione a abitudini o rituali, difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti, interessi ristretti e/o particolari, anomalie sensoriali, ...
Secondo le stime ufficiali i disturbi dello spettro autistico riguardano 4-6 persone su 1000 ma negli ultimi 2 decenni si è verificato un importante aumento delle diagnosi e nei più piccoli ormai la prevalenza si avvicina o supera l'1%. Non si conoscono con precisione le cause di questo aumento anche se è attribuibile in gran parte ad una maggiore attenzione e accuratezza diagnostica
In maggioranza (rapporto di 4:1) sono maschi.
Ad oggi non se ne conoscono ancora con precisione le cause, anche se le ipotesi più accreditate rimandano ad una vulnerabilità/causalità su base genetica.
L'autismo può presentarsi con diversi livelli di compromissione e diverse caratteristiche individuali; ogni persona con autismo è diversa e queste diversità vanno riconosciute all'interno di percorsi individualizzati.
Anche se si accompagna ad un aspetto fisico normale, in molti casi l'autismo può comportare una grave condizione di disabilità che, pur modificandosi nel corso del tempo e con specifici interventi educativi/abilitativi, perdura per tutta la vita limitando in molti casi la possibilità di raggiungere le competenze necessarie per una vita in piena autonomia.
Cenni di storia dell'autismo
L'autismo è sempre esistito (si veda, ad esempio, la storia di Victor, il ragazzo selvaggio dell'Aveyron della fine del '700 descritta da Itard) ma, come per molte altre condizioni mediche e non solo, venne riconosciuto e denominato in tempi relativamente recenti.
Il termine "autismo" (dal greco autòs, che significa "se stesso") fu coniato dallo psichiatra svizzero Eugen Bleuler nel 1911. Bleuler lo utilizzò per descrivere un sintomo specifico della schizofrenia (il ripiegamento su se stessi del paziente) negli adulti, e non come una condizione specifica del neurosviluppo infantile.
Le basi per l'utilizzo del termine "autismo" per come viene inteso attualmente furono poste quasi contemporaneamente all'inizio degli anni '40 da due medici, senza che uno conoscesse il lavoro dell'altro:
- Nel 1943, lo psichiatra statunitense Leo Kanner pubblicò l'articolo "Autistic Disturbances of Affective Contact". Kanner descrisse 11 bambini con un insieme unico di caratteristiche, tra cui l'estremo isolamento sociale, il desiderio ossessivo di mantenere l'ambiente immutato (resistenza al cambiamento) e la difficoltà di linguaggio, spesso accompagnate da ecolalia (ripetizione di parole o frasi). Kanner definì questa sindrome "Autismo Infantile Precoce".
- Nel 1944, il pediatra austriaco Hans Asperger descrisse in un articolo (pubblicato in tedesco) un gruppo di ragazzi con gravi difficoltà di interazione sociale e interessi assorbenti, ma con intelligenza e linguaggio verbale ben sviluppati. Chiamò questa condizione "Psicopatia Autistica". Il suo lavoro rimase quasi sconosciuto fuori dall'Austria fino ai lavori della psichiatra inglese Lorna Wing e alla traduzione in inglese negli anni '90. Il suo cognome venne successivamente utilizzato per definire la condizione di persone con autismo in assenza di deficit cognitivi e del linguaggio (Sindrome di Asperger).
Il periodo degli anni '50-'60 è noto per le teorie psicogeniche proposte in particolare dallo psicologo Bruno Bettelheim ("The Empty Fortress", 1967) che causarono grandi sofferenze alle famiglie. L'autismo fu erroneamente attribuito a una disfunzione precoce nel rapporto madre-bambino, suggerendo che le madri fredde, distaccate ed emotivamente assenti (definite "madri frigorifero") fossero la causa del disturbo.
Le teorie di Bettelheim sono state ampiamente criticate e smentite dalla comunità scientifica che, a partire dalla fine degli anni '60, confutò rigorosamente le teorie psicogeniche dell'autismo, reindirizzando la ricerca verso cause neurologiche e biologiche dell'autismo (Rimland, Lelord, ...).
A partire dagli anni '80 la ricerca ha spostato l'autismo dal campo delle malattie psichiatriche a quello dei Disturbi del Neurosviluppo e ha riconosciuto una vasta gamma di manifestazioni. È possibile rintracciare questa evoluzione attraverso le diverse edizioni del Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders («Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali»), noto anche con l'acronimo “DSM”, uno degli strumenti a supporto della fase diagnostica per disturbi mentali più utilizzato da psichiatri e psicologi di tutto il mondo e redatto dall’American Psychiatric Association (APA).
- Con il DSM-III (1980) l'autismo è ufficialmente riconosciuto come una categoria diagnostica separata dalla schizofrenia.
- Nel DSM-IV (1994) viene introdotta la categoria dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (DPS), che includeva: Disturbo Autistico, Sindrome di Asperger, Disturbo Disintegrativo dell'Infanzia, Sindrome di Rett e PDD-NOS (Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato).
- Nel 2013, con il DSM-5, tutte le condizioni precedenti (Autismo, Asperger, PDD-NOS, ecc. mentre la Sindrome di Rett è stata classificata separatamente come disturbo genetico/neurologico) vengono riunite sotto un'unica etichetta diagnostica: il Disturbo dello Spettro Autistico (DSA/ASD). Viene riconosciuta la natura di "continuum" (spettro) del disturbo e viene introdotta una differenziazione in base al livello di supporto necessario per ogni individuo.
L'autismo nel DSM-5
Come già ricordato, con il DSM-5 si supera la precedente organizzazione in sottocategorie diagnostiche (Autismo, Asperger, PDD-NOS, ecc.) a favore dell'idea che l'autismo rappresenti un continuum di condizioni, da qui la definizione di "Distubo dello Spettro Autistico" collocato nell'ambito dei Disturbi del Neurosviluppo, con caratteristiche e bisogni di sostegno diversi ma riconducibili a due aree principali:
- la presenza di un deficit persistente nella comunicazione sociale e nell’interazione sociale in diversi contesti, non spiegabile attraverso un ritardo generalizzato dello sviluppo
- la presenza di comportamenti e/o interessi e/o attività ristrette e ripetitive
Nel dettaglio:
- Deficit persistente nella comunicazione sociale e nell’interazione sociale in diversi contesti, non spiegabile attraverso un ritardo generalizzato dello sviluppo, e manifestato da tutti e 3 i
seguenti punti:
- Deficit nella reciprocità socio-emotiva: approccio sociale anormale e fallimento nella normale conversazione e/o ridotto interesse nella condivisione degli interessi e/o mancanza di iniziativa nell’interazione sociale.
- Deficit nei comportamenti comunicativi non verbali usati per l’interazione sociale
- Deficit nello sviluppo e mantenimento di relazioni, appropriate al livello di sviluppo(non comprese quelle con i genitori e caregiver).
- Comportamenti e/o interessi e/o attività ristrette e ripetitive come manifestato da almeno 2 dei seguenti punti:
- Linguaggio e/o movimenti motori e/o uso di oggetti, stereotipato e/o ripetitivo
- Eccessiva aderenza alla routine, comportamenti verbali o non verbali riutilizzati e/o eccessiva resistenza ai cambiamenti
- Fissazione in interessi altamente ristretti con intensità o attenzione anormale
- Iper-reattività e/o Ipo-reattività agli stimoli sensoriali o interessi inusuali rispetto a certi aspetti dell’ambiente
Per entrambe queste aree principali il DSM-5 prevede sia specificato il livello di supporto richiesto dalla persona, a tal fine sono riportati tre livelli:
- Livello 3: La persona richiede un supporto molto sostanziale (es. deficit gravi che compromettono il funzionamento in modo significativo).
- Livello 2: La persona richiede un supporto sostanziale (es. deficit evidenti che limitano marcatamente il funzionamento).
- Livello 1: La persona richiede supporto (es. deficit evidenti solo senza supporto in atto; difficoltà nel regolare il comportamento).
E' previsto inoltre che i sintomi debbano essere presenti nella prima infanzia (ma possono non diventare completamente manifesti finché la domanda sociale non eccede il limite delle capacità) e che l’insieme dei sintomi debba compromettere il funzionamento quotidiano.
Per la normativa italiana relativa alla gestione del fondo per le non autosufficienze (Decreto interministeriale del 26/09/2016) e nelle normative regionali che ne derivano, il Livello 3 - DSM-5 è definito come indicatore di una "gravissima disabilità comportamentale dello spettro autistico" e rappresenta il criterio di accesso alle risorse del FNA (art. 3, punto g)
L'autismo di casa nostra ...
Parlare di autismo sta diventando sempre più complicato.
Quando l'Ass. Autismando è nata nel 2003, l'autismo era considerato una una entità distinta, per lo meno sul piano formale (nonostante i confini fossero spesso incerti), dalla Sindrome di Asperger, e raccoglieva persone che presentavano una maggior compromissione cognitiva e del linguaggio, era l'area del c.d. "basso funzionamento" (definizione oggi superata dal riferimento alla presenza di disabilità intellettiva e al bisogno di supporti come specificato nel DSM-5).
I Disturbi dello Spettro Autistico, così come vengono definiti dal DSM-5, raccolgono sotto la stessa etichetta diagnostica un mondo, uno «spettro» appunto, di persone che vivono condizioni molto eterogenee. Ci sono persone capaci di performance anche superiori alla media in alcuni ambiti (isole di abilità) anche se con più o meno importanti difficoltà in ambito socio-relazionale ma anche persone per le quali le problematiche cognitive, sociali e della comunicazione sono più marcate, accompagnate spesso da forme di disabilità intellettiva e/o modalità di funzionamento più rigide, in un quadro complessivo che, in molti casi, limita fortemente la possibilità di una vita in autonomia.
Per quanto riguarda l'esperienza delle famiglie di Autismando, quando parliamo di autismo e dei nostri figli, pur nell’eterogeneità che comunque li caratterizza, nella maggior parte dei casi facciamo riferimento a quest'ultimo profilo.